Il
Moscato... Ne esiste un'infinita varietà e qualsiasi tentativo di classificazione dell'origine del vitigno, dal punto di vista scientifico, risulta estremamente arduo.
Il Moscato ha origini antichissime ed è stato probabilmente tra i primi vitigni ad essere identificato e coltivato nel Mediterraneo, diffondendosi poi in tutto il mondo grazie alle proprie capacità di adattamento ai più svariati terreni, climi e altitudini.
In conseguenza di ciò la principale suddivisione che siamo riusciti a fare, malgrado le innumerevoli informazioni reperite, addirittura chiedendo ai produttori stessi, è quella di suddividerli secondo le caratteristiche dei vini che ne derivano.
Se facciamo riferimento ai climi più freddi, abbiamo riscontrato che i vini che ne derivano hanno profumi eleganti, fini, raffinati, che rammentano note floreali di fiori di arancio, di scorza di limone, talora di rosa, rosa canina, di glicine, di tiglio e di erbe aromatiche come la salvia e il timo; al gusto risultano freschi, dolci ma non stucchevoli.
Nel caso dei climi caldi, le uve, generalmente assai mature, danno origine a vini in cui la dolcezza prevale sulla finezza dei profumi. Le note floreali lasciano il posto a sentori più marcati e avvolgenti di frutta matura, marmellate d'arancia, di pesca e di albicocca, di datteri e fichi.
In considerazione di quanto esposto, possiamo definire il Moscato come il vitigno aromatico per eccellenza. E' infatti un vitigno che trasmette al vino i profumi tipici del frutto stesso. Proprio in virtù di tali profumi e della dolcezza del frutto, che attiravano le api, gli etruschi le chiamavano "uve apianae" (uve delle api).
Il termine "moscato" deriva invece dal latino
Muscum, "muschio", che era un'essenza prodotta dalla ghiandola di alcuni cervidi, ai tempi, base per molti profumi.
Un'altra classificazione che siamo riusciti a fare è quella per diffusione territoriale.
Il Moscato Bianco è la varietà maggiormente diffusa non solo in Italia, dove è al quarto posto per superficie vitata di uva a bacca bianca (occupando circa 30.000 ha e dando i maggiori profitti come base del settore dei vini dolci spumanti), ma anche in Grecia, dove è la sola varietà di Moscato ad essere autorizzata e tutelata (Samos, Patrasso e Cefalonia).
E' il vitigno da più tempo coltivato in Francia, essendo stato portato in Gallia dai Romani e forse ancora prima piantato nella regione di Marsiglia dai Greci.
Se ne hanno tracce in Germania, con il nome di Muskateller, intorno al XII secolo,anche se oggi quasi del tutto scomparsa e sostituita da altre varietà.
In Spagna, anche se in quantità limitata, è presente con il nome di Moscatel de Grano Menudo (i Moscatel spagnoli oggi sono prodotti con il Moscato di Alessandria). |
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Il Moscato Bianco ha dato origine nei secoli a varietà che si sono adattate ai diversi terreni e ai microclimi dove hanno trovato dimora. Per questo motivo lo troviamo anche in California, in Sudafrica e in Australia.
Tornando però in Italia, riscontriamo che in tutto il Paese si producono vini chiamati Moscato, prodotti solitamente con questa varietà di vitigno.
E' tipico dei climi più freddi ed infatti lo troviamo principalmente al nord.
E' la più antica varietà documentata del Piemonte, dove viene anche chiamato
Moscato di Canelli, e che dà origine a uno dei prodotti più caratteristici della viticoltura piemontese: il
Moscato d'Asti DOCG, prodotto nei comuni delle province di Asti, Alessandria e Cuneo.
Riteniamo importante qui soffermarci per dare qualche notizia relativa alla differenza che determina la distinzione tra il Moscato d'Asti Docg e l'
Asti Spumante Docg. Per la produzione di quest'ultimo infatti è necessario che avvenga la presa di spuma, ossia la fermentazione del mosto-vino attivata dall'aggiunta di lieviti selezionati, alla temperatura variabile da 14 a 18°C per una durata di circa 20/30 giorni (nel caso di uve mosti-vino ottenuti con uve non dolci vengono aggiunte delle quantità calcolate di zucchero. Non è il caso dei moscati che contengono più di 100 g/l di zuccheri naturali).
Tale procedimento avviene in autoclave, un grande recipiente ermetico, di forma cilindrica e rivestito di materiale isolante, resistente alla pressione e dotato di un impianto per regolarne la temperatura. In questo recipiente, durante la trasformazione degli zuccheri in alcool coadiuvata dai lieviti naturali (o selezionati e aggiunti), si sprigiona anidride carbonica fino ad una sovrappressione di almeno 3 atmosfere (3,5 bar per i V.S.Q., vini spumanti di qualità). In bottiglia la pressione può arrivare fino a 5 o 6 atmosfere.
Una volta raggiunto il livello di pressione desiderato, considerando il grado zuccherino che dovrà avere l'Asti Spumante Docg, si procede alla refrigerazione controllata (-3° / -4°C) per bloccare l'attività dei lieviti. Non c'è maturazione sui lieviti per gli spumanti dolci, una permanenza sui lieviti dai 3 fino ai 6 o addirittura 9 mesi è invece prevista per gli spumanti secchi.
Affinché possa fregiarsi della denominazione di Asti Spumante, è fondamentale che l'anidride carbonica si sviluppi in modo naturale.
Esistono in commercio gli spumanti artificiali, quelli cioè gassificati, ottenuti con l'aggiunta di anidride carbonica. La legge prevede che per questa tipologia di spumanti sia riportata in etichetta l'indicazione "addizionato di gas acido carbonico" (CO2) ma non è il caso dell'Asti Spumante DOCG.
Il metodo di spumantizzazione a cui abbiamo appena fatto riferimento si definisce "Charmat", ed è il metodo usato maggiormente per i vini dolci poiché tende a mantenere i profumi propri dell'uva, cosiddetti profumi primari.
Mantenendo la linea di classificazione per diffusione, al Moscato Bianco segue il
Moscato d'Alessandria.
Questo vitigno prospera nei climi caldi e oltre alle innumerevoli espressioni che troviamo in Europa e nel resto del mondo, in Italia, è la Sicilia che domina con la maggiore produzione.
Come indica il nome, il Moscato d'Alessandria sarebbe originario dell'Egitto e diffuso nel mondo mediterraneo dai Romani. E' una tipologia ampiamente coltivata anche come uva da tavola e da essiccare. In Sicilia è conosciuta con il nome di
"Zibibbo", termine che deriva dalla parola nordafricana
Zebib, che significa
"uva secca".
Nell'isola di Pantelleria questo Moscato viene allevato a terra in buche o al riparo dietro muretti che lo proteggono dai forti venti caldi che spirano da quelle parti; a causa di ciò, le viti superano raramente i 50 centimetri di altezza. Celebri e blasonati sono i vini che si producono, sia nella versione del
Moscato di Pantelleria che come
Passito di Pantelleria, ai quali non mancheremo, in futuro, di dedicare un approfondimento.
Per il momento ci soffermiamo a dire che il Moscato di Pantelleria è un vino giallo paglierino, carico di riflessi dorati, dolce e persistente, con un'alcolicità minima di 11%vol., prodotto da un'uva dalla buccia spessa e resistente che, come s'è detto in precedenza, s'è adattato perfettamente al clima torrido e al territorio. Il Passito di Pantelleria è un'evoluzione del Moscato di Pantelleria, che a seguito di un appassimento delle uve e a una vinificazione particolare, produce un vino dal sapore intenso, carezzevole e vellutato.
Per quanto riguarda l'Italia, il Moscato Bianco, seguito dal Moscato d'Alessandria, sono le varietà maggiormente diffuse e che hanno dato origine ad infinite altre varietà che troviamo quasi in ogni regione: il Muscat de Chambave in Val d'Aosta, Moscato Fior d'Arancio dei Colli Euganei in Veneto, il Moscatello di Montalcino in Toscana, nelle Marche, in Umbria e il Moscato di Terracina nel Lazio. E poi ancora in Abruzzo, in Sardegna, in Molise e nel Salernitano, nel Vulture, fino ad arrivare alla varietà storiche del Moscato di Trani in Puglia.
Inoltre, varie notizie e accenni su una miriade di moscati abbiamo trovato e sentito qua e là per l'Italia. Per tutti vale la pena qui sottolineare la sensibilità e la commovente generosità di adattamento che tale pianta esprime in conseguenza ai terreni e alle condizioni climatiche che subisce; sovente abbiamo sentito raccontare di alcune varietà in cui lo stesso filare di viti dà frutti di colore e sapore molto diversi da anno in anno, producendo di conseguenza vini dai profumi totalmente diversi.
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E' il momento ora di affrontare quello che è il tema della serata e cioè il Moscato Rosa, protagonista in Alto Adige.
Il Moscato Rosa, detto anche Moscato delle Rose, deve il suo nome allo spiccato e tipico aroma di fiore di rosa nettamente percepibile all'esame olfattivo e non dunque al colore del vino che normalmente è rosso vivo. Altra particolarità di rilievo è inoltre di avere un grappolo fiorale soggetto, sovente, per difficoltà di fecondazione genetica, a numerosi aborti floreali, dando così origine a grappoli molto spargoli con acini molto piccoli, dolcissimi e senza vinaccioli, per cui è un vino la cui produzione è decisamente limitata.
Per l'origine o la derivazione del vitigno esistono numerose teorie che, di volta in volta, saranno palesate.
Oltre che in Alto Adige il Moscato Rosa è allevato anche in Friuli.
Possiamo dire che dopo secoli, se non addirittura millenni, di evoluzione su un territorio di antichissima coltura enologica, coadiuvato dalla nota caparbietà dei contadini, questo vitigno si è adattato alle condizioni climatiche e pedomorfologiche, sviluppando caratteristiche tali da renderlo tipico della zona. Pertanto oggi possiamo definire il Moscato Rosa una varietà a sé.
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Il territorio, malgrado sia una delle aree vinicole più piccole d'Europa, ha favorito il successo di questo vitigno grazie alle condizioni micro-climatiche molto favorevoli. La zona a sud delle Alpi gode dei favorevoli influssi del clima mediterraneo e in base all'altitudine si riscontrano notevoli sbalzi di temperatura fra il giorno e la notte. L'arco alpino protegge a ferro di cavallo dai venti gelidi del nord, mentre a sud la Valle dell'Adige si apre ai caldi venti del Garda che apportano la necessaria umidità. Anche i terreni sono diversi, dalle formazioni rocciose di porfido rosso da Merano a Bolzano e a Caldano, alla struttura calcarea e ghiaiosa che caratterizza una buona parte della bassa atesina, fino agli strati di marna sabbiosa in direzione del Trentino. L'antichissima tradizione delle innumerevoli generazioni di viticoltori fa da sfondo a quello che è lo scenario attuale. Dal punto di vista quantitativo, a livello nazionale, la produzione di questa regione è veramente modesta. L'Alto Adige emerge però dal punto di vista qualitativo. E' importante sapere infatti che il novantotto per cento delle aree vitate è iscritto nel cosiddetto Albo dei Vigneti, e tutta la viticoltura di questa zona deve sottostare ai severi disciplinari dei vini Doc. La Doc Alto Adige - Sud Tiroler è una Doc molto selettiva, tutela il consumatore e certifica l'autenticità del vino marchiato Alto Adige. È per questo motivo che anche i vini delle vallate più caratteristiche premettono la scritta, bilingue, di identificazione provinciale. Un modo per presentarsi compatti e per dimostrare come questa zona sia compatta nel tutelare il suo patrimonio enologico.
(continua...)